ROMA – Rispetto delle regole: quelle dettate del papa, quelle suggerite dai vescovi, quelle volute dai parroci. Rispetto delle regole e rispetto delle persone, nelle realtà parrocchiali del nostro paese e in quelle dei territori di missione. Ruotano ancora una volta intorno al principio dell’unità della Chiesa le notizie sul Cammino Neocatecumenale, protagonista - suo malgrado – di due episodi che rendono evidente come ancora lungo sia il percorso da compiere per instaurare a pieno titolo e senza alcuna riserva questo itinerario di formazione nella realtà della Chiesa universale. Un percorso che intanto si avvicina ad una data importante, quella del prossimo giugno, quando il Pontificio Consiglio per i Laici dovrà decidere se approvare in via definitiva gli Statuti del Cammino, in vigore dal giugno 2002 per un periodo di prova limitato a cinque anni: una scelta niente affatto scontata se perfino il papa – appena una settimana fa – si è domandato in pubblico, di fronte ai sacerdoti della sua diocesi, se dopo cinque anni di sperimentazione si debbano confermare in modo definitivo gli Statuti del Cammino, o se non sia invece necessario un ulteriore tempo di sperimentazione, o - ancora - se si debbano perfino "ritoccare" alcuni elementi della struttura del Cammino.
Se, cioè, a quarant’anni esatti dalla nascita della prima comunità neocatecumenale, è il successore di Pietro a porsi questa domanda e a parlare apertamente di “molte complicazioni”, e se sono ancora tanti i vescovi scettici sulla completa bontà del percorso ideato dagli iniziatori del Cammino, e se ancora a distanza di anni le congregazioni vaticane competenti non hanno espresso un giudizio definitivo sul Direttorio Catechetico (l’insieme degli insegnamenti di Kiko Argüello e Carmen Hernández, cuore pulsante di questo percorso di riscoperta del Battesimo), è evidente che c’è qualcosa che non va. Che ancora non va. E questo sia dal punto di vista liturgico (con le direttive impartite dalla Congregazione per il Culto Divino nel dicembre 2005, e poi ribadite da Benedetto XVI nel gennaio 2006, che ancora non trovano completa applicazione nella realtà concreta) sia dal punto di vista dottrinale. Ad essere in gioco è la piena aderenza del Cammino agli insegnamenti della Chiesa, nonché le modalità con cui questi insegnamenti trovano concreta attuazione nelle parrocchie di tutto il mondo.
Nell’ultima settimana due “rilievi” sono arrivati ai responsabili del Cammino Neocatecumenale: una lettera dai toni fermi e severi scritta dai vescovi cattolici della Terra Santa alle comunità neocatecumenali stanziate nella regione e un discorso pronunciato a braccio niente meno che da papa Benedetto XVI. Due episodi che si inseriscono così nel complesso quadro del percorso verso il pieno e completo riconoscimento vaticano della realtà ecclesiale sorta quattro decenni fa.
È il dodici gennaio 2006, Udienza del papa al Cammino Neocatecumenale. In primo piano Kiko Argüello che, al microfono, presenta a Benedetto XVI duecento famiglie che si accingono a partire in missione. Il papa osserva e risponde al saluto delle famiglie.
(Foto di Daniele Colarieti - Catholic Press Photo)
IL PAPA - Le parole del papa sono risuonate giovedì scorso, 22 febbraio, nell’aula delle Benedizioni in Vaticano, dove il pontefice ha incontrato i parroci e il clero della diocesi di Roma in un appuntamento divenuto ormai una tradizione di inizio Quaresima. In quell’occasione Benedetto XVI ha ascoltato nove domande da parte di parroci e sacerdoti, rispondendo loro immediatamente dopo. Nessun testo scritto preparato in precedenza, dunque, ma semplici considerazioni, a braccio, sui temi esposti dai rappresentanti del clero romano. Quando ad essere evocato è stato il tema dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, e della necessità che tali realtà si muovano in un contesto di “unità nella Chiesa universale”, papa Ratzinger ha formulato una risposta articolata in cui ha ricordato le due regole fondamentali, quella per la quale occorre “non spegnere i carismi” (i movimenti sono doni dello Spirito, per i quali bisogna “essere grati anche se a volte sono scomodi) e quella per la quale “la Chiesa è una”, per cui “se i Movimenti sono realmente doni dello Spirito Santo” essi devono inserirsi nella Chiesa e servirla, con sullo sfondo un “dialogo paziente e fecondo” con i Pastori (cioè con il papa e i vescovi).
Se dunque Benedetto XVI ha ricordato che molte nuove forme di vita nella Chiesa sono nate dal basso, che anche benedettini e francescani sono nati come “movimento” per poi inserirsi “non senza sofferenze e non senza difficoltà nella vita della Chiesa”, quando ha dovuto affrontare in modo esplicito il tema dell’unità all’interno della Chiesa l’esempio concreto portato dal papa è stato uno solo: quello del Cammino Neocatecumenale. “Il dialogo fra pastori e movimenti è a tutti i livelli. Cominciando dal parroco, dal vescovo e dal successore di Pietro è in corso la ricerca delle opportune strutture: in molti casi la ricerca ha già dato i suoi frutti. In altri si sta ancora studiando. Ad esempio, ci si domanda se dopo cinque anni di esperimento, si debbano confermare in modo definitivo gli Statuti per il Cammino Neocatecumenale o se ancora ci voglia un tempo di esperimento o se si debbano forse un po' ritoccare alcuni elementi di questa struttura. In ogni caso, io ho conosciuto i Neocatecumenali dall'inizio. E’ stato un cammino lungo, con molte complicazioni che esistono anche oggi, ma abbiamo trovato una forma ecclesiale che ha già molto migliorato il rapporto tra il Pastore e il Cammino. E andiamo avanti così! Lo stesso vale per gli altri Movimenti”.
Di un testo parlato è sempre bene non fare una “esegesi” biblica, ma certamente nella spontaneità e nella maggiore libertà di un colloquio orale non possono passare inosservati gli accenni ai punti critici della struttura neocatecumenale, che il papa ipotizza possa anche essere “ritoccata”: accanto alla possibilità di una conferma definitiva degli Statuti, infatti, restano plausibili nelle sue parole gli altri due sbocchi giuridici, quello di una proroga al periodo di sperimentazione degli Statuti e quello di un vero e proprio ritocco ad alcuni elementi della struttura. Qualcosa che non va, insomma, e che va cambiato. Pur con tutta la cautela del caso, il messaggio che arriva dal discorso papale non è un segnale di poco conto, a quattro mesi dalla scadenza del primo quinquennio “ad experimentum”. “Molte complicazioni” – dice il papa – ci sono state in passato e molte “esistono anche oggi”, nonostante il lungo cammino (qui evidentemente inteso con la c minuscola, nel senso di percorso, e non con la maiuscola, così come invece si legge nel testo diffuso dalla sala stampa della Santa Sede, ndr) e per quanto il rapporto fra vescovi e Cammino sia “già molto migliorato” appare evidente che molto resta ancora da fare. “Andiamo avanti così”, cioè continuiamo su questa strada di confronto e dialogo, conclude Benedetto XVI.
L'iniziatore del Cammino Neocatecumenale Kiko Argüello con il cardinale Joseph Ratzinger. Una delle foto che testimonia gli incontri del futuro papa Benedetto XVI con il Cammino.
I VESCOVI DI TERRA SANTA – Ancora più ferma e significativa è la presa di posizione degli ordinari cattolici della Terra Santa, che ai membri delle comunità neocatecumenali presenti nelle loro diocesi hanno inviato una lettera tanto educata nei toni quanto severa, rigorosa e drastica nella sostanza (qui il testo integrale). Nella missiva, primo firmatario il patriarca latino di Gerusalemme Michel Sabbah, i vescovi formulano alcune richieste che vanno evidentemente a toccare le modalità concrete della presenza neocatecumenale nelle parrocchie di Palestina, Israele e Giordania: le abitudini, i rapporti con i parroci e i vescovi, la prassi liturgica seguita, i modi di rapportarsi con i fedeli cristiani non facenti parte delle comunità del Cammino, e così via. Al di là dei riassunti piuttosto soft circolati in questi giorni, ce n’è davvero per tutti i gusti.
Dopo i dovuti ringraziamenti per la presenza e l’aiuto offerti dalle comunità neocatecumenali ai fedeli, il primo riferimento è subito alla lettera della Congregazione del Culto Divino del 1° dicembre 2005 e al discorso di Benedetto XVI del 12 gennaio 2006, cioè ai due interventi più duri ed esigenti che siano piovuti sulla realtà neocatecumenale negli ultimi tempi, senza trovare peraltro – almeno finora – accoglimento pieno e totale (ma è opportuno ricordare che le direttive più importanti concedevano due anni di tempo per un completo adeguamento). “Vi domandiamo” – scrivono i vescovi – “di prendere posto nel cuore della parrocchia nella quale annunciate la Parola di Dio evitando di fare un gruppo a parte”. No dunque alla separazione della comunità neocatecumenale rispetto al resto dei fedeli cristiani: “Il vostro primo dovere, se volete aiutare i fedeli a crescere nella fede, è di radicarli nelle parrocchie e nelle proprie tradizioni liturgiche nelle quali sono cresciuti da generazioni”.
Dunque, vivere la parrocchia, non dividerla o separarla (accusa questa tra le più gettonate, fra quelle che colpiscono il Cammino) e un riferimento di non poco conto alla liturgia: “In Oriente, noi teniamo molto alla nostra liturgia e alle nostre tradizioni. E’ la liturgia che ha molto contributo a conservare la fede cristiana nei nostri paesi lungo la storia. Il rito è come una carta d’identità e non solo un modo tra altri di pregare. Vi preghiamo di aver la carità di capire e rispettare l’attaccamento dei nostri fedeli alle proprie liturgie”. Il capire e rispettare l’attaccamento dei fedeli alle liturgie è qui la chiara trascrizione della contrarietà a pratiche liturgiche lontane dalla tradizione orientale e che invece rappresentano un punto focale dell’esperienza neocatecumenale: “Celebrate l’Eucaristia con la parrocchia e secondo il modo della Chiesa locale”, scrivono - utilizzando il modo imperativo - i vescovi, per i quali l’Eucaristia è il sacramento di “unità” della parrocchia, e non di “frazionamento”, e le celebrazioni devono essere presiedute sempre dal parroco nel caso di riti orientali e comunque “in pieno accordo con lui” nel rito latino. No alle parrocchie sfaldate, no ad una eccessiva indipendenza di giudizio e ad una esagerata libertà di azione, no a quelle liturgie che agli occhi degli orientali (e forse non solo ai loro…) potrebbero facilmente apparire eccentriche, bizzarre, stravaganti, o comunque lontane dalla tradizione.
“Ogni predicazione” – continuano i vescovi – “dovrebbe guidare i nostri fedeli negli atteggiamenti concreti da assumere nel diversi contesti della vita: vi chiediamo di predicare un Vangelo incarnato nella vita”, e dunque "nella ricerca della pace e della giustizia", "nell’atteggiamento di perdono e di amore per il nemico", nell’esigenza dei propri diritti ad iniziare dalla "dignità, dalla libertà e dalla giustizia". Ma non finisce qui, perché gli ordinari cattolici scrivono: “Vi chiediamo inoltre di mettervi seriamente allo studio della lingua e della cultura della gente, in segno di rispetto per loro e quale strumento di comprensione della loro anima e della loro storia, nel contesto della Terra Santa”. Una sottolineatura che sorprende, sia nello stile (il rafforzativo “seriamente” la dice lunga sul tono della missiva) sia nel merito, giacché da persone serie e umili - quali certamente i responsabili delle comunità del Cammino neocatecumenale in Terra Santa sono - ci si sarebbe attesi uno spontaneo orientamento verso lo studio delle caratteristiche essenziali di un popolo (lingua e cultura), in un atteggiamento di fondo improntato al massimo rispetto. Atteggiamento che evidentemente, se viene così invocato dai vescovi, è finora stato latitante.
“Ogni predicazione” – continuano i vescovi – “dovrebbe guidare i nostri fedeli negli atteggiamenti concreti da assumere nel diversi contesti della vita: vi chiediamo di predicare un Vangelo incarnato nella vita”, e dunque "nella ricerca della pace e della giustizia", "nell’atteggiamento di perdono e di amore per il nemico", nell’esigenza dei propri diritti ad iniziare dalla "dignità, dalla libertà e dalla giustizia". Ma non finisce qui, perché gli ordinari cattolici scrivono: “Vi chiediamo inoltre di mettervi seriamente allo studio della lingua e della cultura della gente, in segno di rispetto per loro e quale strumento di comprensione della loro anima e della loro storia, nel contesto della Terra Santa”. Una sottolineatura che sorprende, sia nello stile (il rafforzativo “seriamente” la dice lunga sul tono della missiva) sia nel merito, giacché da persone serie e umili - quali certamente i responsabili delle comunità del Cammino neocatecumenale in Terra Santa sono - ci si sarebbe attesi uno spontaneo orientamento verso lo studio delle caratteristiche essenziali di un popolo (lingua e cultura), in un atteggiamento di fondo improntato al massimo rispetto. Atteggiamento che evidentemente, se viene così invocato dai vescovi, è finora stato latitante.
È plausibile che – confermando una tendenza già manifestatasi a suo tempo con la missiva del cardinale Arinze, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti – la lettera degli ordinari cattolici della Terra Santa venga presentata da alcuni rappresentanti del Cammino non come una "bastonata" (secondo il gergo caro ai mass media e così tanto criticato allora dai responsabili del Cammino), ma come un riconoscimento al grande servizio reso dai neocatecumenali alla Chiesa cattolica. “Siete benvenuti nelle nostre diocesi”, scrivono infatti i vescovi, e “ringraziamo Dio per la grazia che il Signore vi ha data e per il carisma che il Santo Spirito ha effuso nella Chiesa tramite il vostro ministero della formazione post-battesimale”. “Siamo riconoscenti” – continuano – “per la vostra presenza in alcune delle nostre parrocchie, per la predicazione della Parola di Dio, per l'aiuto offerto ai nostri fedeli nell'approfondimento della loro fede e nel radicarsi nella loro propria chiesa locale, in ‘una sintesi di predicazione kerygmatica, cambiamento di vita e liturgia’”. Considerazioni, queste, certamente scritte per amore di onestà (oltre che per la comune regola della buona educazione, che in ambito ecclesiastico si concretizza spesso nella forma dell’elogio) ma che altrettanto innegabilmente non rappresentano il “cuore” della missiva: lettere come queste servono infatti per puntualizzare, per correggere, per dare direttive, e non per lodare o per dispensare impropri riconoscimenti. Fosse solo per quelli, non sarebbero mai state scritte. Quando dei vescovi arrivano a scrivere le cose nero su bianco, dando rilevanza pubblica alle questioni sollevate, è perché le stesse cose sono già state dette a voce, senza aver portato ad alcun risultato, o avendo ottenuto pochi apprezzabili risultati.
Con la lettera dei vescovi di Palestina, Israele e Giordania, siamo certamente ancora lontani dai toni di duro rimprovero che in alcune occasioni, prima dell’approvazione ad experimentum degli statuti, erano stati mossi al Cammino da alcuni vescovi italiani (da una piccola minoranza di essi, s’intende). Ciò nonostante, essa rappresenta – insieme alle parole pronunciate da papa Ratzinger – un chiaro segnale del fatto che le modalità di applicazione concreta del Cammino continuano ancora a seminare dubbi e contrarietà, tanto da mettere a repentaglio perfino il doveroso rispetto delle persone e il dovuto rispetto delle regole.
In questi giorni, la vita del Cammino Neocatecumenale è andata avanti normalmente, e se Kiko Argüello è stato in Spagna, nella sua città natale, Léon, per una visita alla prima comunità neocatecumenale del mondo, formata quarant’anni fa, nel 1967, in Italia le comunità hanno ricevuto l’Annuncio della Quaresima, corredato in alcune diocesi da vere e proprie “missioni cittadine” per le strade e le piazze. Niente di nuovo sotto il sole, almeno all’apparenza. Ma il perché - alla vigilia di una decisione importante come quella del giugno 2007 - non si faccia tutto il possibile, davvero tutto il possibile, per rispondere alle legittime e doverose richieste di vescovi e papa, evitando così di alimentare critiche e rimproveri, rimane un quesito senza risposta.
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