L'APPUNTAMENTO - Quando saluta tutti, poco dopo le sei e mezza della sera, è appena finito il canto del Te Deum, intonato al suono di organo e chitarra dallo stesso iniziatore del Cammino neocatecumenale Kiko Arguello. Benedetto XVI, che per diletto personale ama un altro genere di canto, esce subito di scena mentre tutti prendono a cantare un altro motivo, il più celebre della lunga produzione neocatecumenale, “Risuscitò”. Voci possenti, ma nessuno batte le mani secondo l’uso consueto: in San Pietro non sta bene, e era stato lo stesso Kiko, prima dell’apertura dell’incontro, a chiedere ai “fratelli” di evitare il gesto e di “cantare in raccoglimento”. E’ un appuntamento organizzato per presentare a Benedetto XVI le nuove iniziative missionarie del Cammino neocatecumenale: ci sono 14 èquipe e oltre 200 famiglie che partono per la missione all’estero, ci sono i 700 itineranti del Cammino che hanno portato l’itinerario iniziato da Kiko e Carmen in ogni continente, ci sono le comunità neocatecumenali della città di Roma e 15 fra di esse che inizieranno a breve una missione in altre parrocchie della capitale, c’è la prima comunità neocatecumenale nata a Roma, nella parrocchia dei Santi Martiri Canadesi. Era il 1968, e l’occasione del quarantennale è colta oggi al balzo per festeggiare i 40 anni del cammino in Italia e nella diocesi del papa. Un incontro che cade a sette mesi dall’approvazione definitiva degli Statuti del Cammino e che si colora dunque anche di altri significati, dal momento che il papa non si è ancora mai espresso, in questi mesi, sulla questione.
LE COMUNITA' IN MISSIONE - Il clima è come sempre di grande cordialità. All’applauso iniziale per l’arrivo del papa, inizia subito la presentazione da parte di Kiko delle varie comunità presenti. Il papa siede davanti al grande altare della Basilica, l’iniziatore al microfono sulla destra saluta il pontefice confidando la sua contentezza per l’occasione e per il fatto che “per la prima volta nella storia della Chiesa il Cammino neocatecumenale offre delle intere comunità per la missione”. E’ l’ultima novità del Cammino, l’opportunità per consentire alle comunità che hanno concluso l’itinerario formativo di essere comunitariamente missionari in un’altra parrocchia: è l’intera comunità, cioè, l’intero gruppo di trenta, quaranta, sessanta persone, a lasciare la propria parrocchia di appartenenza e a trasferirsi in un’altra, per aiutare quei parroci nell’evangelizzazione di altri territori. Sono parrocchie di periferia o del centro, di quartieri popolari o con alte percentuali di migranti, in cui la pastorale parrocchiana fa fatica a partire o in cui il parroco avverte la necessità di un aiuto concreto: le nuove comunità si riuniscono nella loro nuova casa, vivono là gli incontri e le loro celebrazioni, in accordo con il vescovo e i sacerdoti.
Kiko dunque, presenta al papa la prima comunità dei Santi Martiri Canadesi (l’applauso è caloroso e collettivo), 49 persone e oltre 100 figli, e ne approfitta per lodare il gran numero di figli presenti in tutte le comunità del Cammino. “Nel 1968 – dirà poco dopo - Paolo VI scriveva la Humanae Vitae e noi lo abbiamo preso sul serio: era difficile seguire quell’indicazione ma noi abbiamo detto che la Chiesa è maestra e adesso queste sono tutte famiglie felici. E i più grandi evangelizzatori – sottolinea l’iniziatore del Cammino - sono proprio i figli, che portano a casa i loro amici, spesso neppure battezzati, e permettono a tutti di restare colpiti dal modo in cui si vive il Vangelo in queste famiglie”.
Il saluto di Benedetto XVI alle comunità in partenza per la missione. (AP Photo)
C’è poi la chiamata delle quindici comunità che partono in missione, un vero e proprio “esercito di missionari”: il papa segue il tutto attentamente, si rivolge ogni volta ai gruppi di persone che si levano in piedi, si alza, li saluta e sorride loro, per poi tornare seduto. E Kiko al microfono fa il lungo e dettagliato appello chiedendo un applauso per ognuna di queste comunità: la quinta e la sesta comunità dei Santi Martiri Canadesi, pronte per la missione nella chiesa di San Gerardo Maiella, la settima e l’ottava dei Martiri Canadesi a Santa Maria dell’Orazione, la seconda di Santa Francesca Cabrini (altra parrocchia dallo storico passato e dal florido presente neocatecumenale nella capitale) a San Pier Damiani insieme alla seconda di San Leonardo Murialdo; e poi la quinta comunità di Santa Francesca Cabrini alla chiesa dei Santi Elisabetta e Zaccaria, la sesta di Santa Francesca Cabrini alla parrocchia dei Santi Vitale e compagni martiri a via Nazionale, la settima sempre di Santa Francesca Cabrini in missione alla parrocchia di San Domenico di Guzman. E non è finita: ancora applausi per la terza comunità della parrocchia della Natività in partenza per San Giuseppe Cafasso (al Tuscolano), per la terza e la quarta comunità della parrocchia di Santa Maria Immacolata a Tor Sapienza pronte a recarsi a San Massimiliano Kolbe a via Prenestina (“quartiere pieno di musulmani, cinesi e rumeni”, informa Kiko), per la terza di San Leonardo Murialdo a Sant’Andrea Corsini a Casal Morena, per la seconda di San Timoteo alla parrocchia di San Vincenzo de’ Paoli a Ostia e infine per la terza comunità di Santa Maria Goretti in missione alla parrocchia Santa Maria Regina dei Martiri ad Acilia.
A RADIO VATICANA - Qualche ora prima, intervistato da Radio Vaticana, Kiko aveva detto, spiegando il senso di questa iniziativa: “Oggi abbiamo parrocchie che hanno anche venticinque e più comunità, e altre in cui i presbiteri si trovano in difficoltà soprattutto perchè sono pieni di migranti: abbiamo pensato che forse è arrivato il momento, come dice il Vangelo, che 'chi ha due tuniche ne dia una a chi non c'è l'ha' e che le parrocchie che hanno molte comunità, ne avrebbero potuto inviare alcune per aiutare queste parrocchie in periferia. Così – aveva continuato - abbiamo radunato i parroci, abbiamo radunato i responsabili e tutti erano completamente d'accordo. Abbiamo parlato con il cardinale vicario Agostino Vallini, che è stato molto contento, e anche con il Santo Padre. E adesso, abbiamo le prime 14 comunità che partono per le zone più difficili di Roma. E questo 'esperimento missionario' lo stanno aspettando anche in tante altre parti del mondo: anche a Madrid ci sono molte periferie piene di migranti e se non si aiutano questi migranti, sono presi dalle sette o sono attratti dall'ambiente completamente secolarizzato”.
PER IL MONDO - In Basilica intanto è il momento delle Missio ad gentes, quindici èquipe composte da un presbitero, quattro famiglie con figlie e due fedeli laiche che partono per la missione in città come Colonia, Budapest, Vienna, Stoccolma, New York, o in zone emarginate come la Nuova Guinea, l’India, le Antille olandesi, le zone degli aborigeni australiani. In partenza anche 212 famiglie con figli, resesi disponibili ad andare nel mondo per sostenere l’evangelizzazione dei cinque continenti. Kiko è ammirato dalla disponibilità di questi nuclei familiari e non si trattiene dal raccontare al papa i dettagli della loro scelta: “Abbiamo messo in un’urna i nomi delle famiglie e in un altro quello dei luoghi di destinazione e abbiamo proceduto ad un sorteggio”: è così che ciascuna coppia ha saputo della sua destinazione, e in tutti i casi – dal Gabon al Camerun, dall’India al Kazakhistan – “tutti hanno accettato e detto di si”. E così, dice Kiko, “Francesco e Maria, con i loro nove figli, andranno in terra d’Africa in Gabon, mentre chi ha già fatto questa esperienza ricorda che quelli della missione sono stati gli anni più belli della propria vita”. La lunga presentazione, e con essa gli applausi e i sorrisi del papa, si conclude con il saluto a tutte le comunità di Roma presenti in basilica, rappresentanza delle 500 attualmente presenti nella città e proveniente da 103 parrocchie.
SILENZIO... PARLA IL PAPA - A questo punto Kiko esce di scena, padre Mario Pezzi legge un lungo passo del Vangelo di Matteo, con il brano dell’invio dei 72 discepoli, e il papa può iniziare la lettura del suo discorso. Sarà interrotto da una quindicina di applausi, che sottolineano i punti cruciali del suo argomentare. L’invio in missione delle comunità presenti passa in secondo piano e nelle parole del papa il panorama si amplia fino a ricomprendere non solo il ringraziamento a Dio per i frutti spirituali maturati nel Cammino, ma anche la necessità di una aderenza totale del Cammino agli insegnamenti della Chiesa e di adesione “docile” alle direttive del papa e dei vescovi, in un contesto di unità con le altre realtà ecclesiali e di “inserimento organico” dell’itinerario neocatecumenale nella pastorale parrocchiana e diocesana. C’è il riferimento all’approvazione definitiva degli Statuti da parte del Pontificio Consiglio per i Laici, che prova la “stima e benevolenza” con cui la Santa Sede segue il Cammino, e c’è ripetuta la richiesta di intensificare l’adesione (per quel che concerne la diocesi di Roma) alle direttive del cardinale vicario. Una frase di fronte alla quale la folla dei partecipanti fa scattare un applauso che il papa commenta così: “Grazie per questo ‘si’ che viene ovviamente dal cuore!”. (vedi qui i particolari sul discorso del papa e il testo integrale).
KIKO E CARMEN - Con la benedizione delle croci e delle persone inviate in missione, e con il successivo Padre Nostro, la semplice celebrazione si avvia al termine. Si dovrebbe cantare il Te Deum, ma è il momento di concedere anche a Carmen Hernandez la possibilità di intervenire di fronte al papa. E come di consueto diventa immediatamente difficile contenerla: parla un po’ in spagnolo e un po’ in italiano, ed esprime pensieri di gratitudine al papa e ai vescovi che hanno aiutato il Cammino. Riflette sulla capacità di preghiera dei musulmani (“Impressionante, pregano meglio di Kiko Arguello”, dice fra i sorrisi e qualche imbarazzo generale), e mentre lo stesso – ovviamente invano – cerca di invitarla alla conclusione, lei passa in rassegna tutti i predecessori di Benedetto XVI, partendo da Pio XII, con tanto di complimenti al papa tedesco per le parole da lui spese recentemente in occasione del suo cinquantenario: “Aspettiamo la sua beatificazione”. C’è la citazione per Giovanni XXIII che convocò quel Concilio che recuperò la modalità del neocatecumenato (“non è certo una invenzione di Kiko, lui non ha inventato nulla”, dice continuando la sua consueta azione volte a “smitizzare” la figura del “grande artista spagnolo” suo compagno di avventura da oltre 40 anni) e passando per Paolo VI e per Giovanni Paolo I (conosciuto come patriarca di Venezia), arriva fino a Giovanni Paolo II. Il tempo trascorre veloce, Kiko cerca gentilmente di sottrarle il microfono e strappando un sorriso al pontefice e ai cardinali lei si scosta dicendo “Sono davanti al papa e posso parlare”, e condendo il tutto con li racconto di quando chiese a papa Wojtyla l’apertura dei seminari “Redemptoris Mater”: “Kiko mi aveva raccomandato di ‘non dire queste cose davanti al papa’, ma io lo feci lo stesso”. Ormai Carmen ha parlato per un tempo superiore a quello del papa, è proprio necessario che si plachi. Può partire il Te Deum di ringraziamento, lo canta Kiko e tutta l’assemblea. E’ la fine dell’incontro, si torna a casa. Come avvenne tre anni fa, con un carico di amicizia e fermezza.